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Ecofemminismo: di cosa stiamo parlando?

  • Immagine del redattore: Marta Regattin
    Marta Regattin
  • 3 apr 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 12 feb 2021

L’ecofemminismo è una corrente del femminismo che nasce tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dalla connessione tra diversi movimenti sociali: quello femminista, quello pacifista e quello ecologista.

La teoria ecofemminista sostiene che il femminismo e le questioni ecologiche siano strettamente legati, concettualmente e simbolicamente, poiché le donne sono culturalmente legate ed associate alla natura sotto diversi aspetti.

Nella società patriarcale le donne infatti svolgono da centinaia di anni, indipendentemente dalla loro cultura ed appartenenza geografica, un compito fondamentale per la sopravvivenza: quello di allevare e nutrire. Esse sono responsabili dei bisogni fondamentali della famiglia: mettono alla luce i figli, li nutrono e se ne prendono cura, si occupano del lavoro domestico, in molti paesi ancora oggi sono responsabili della coltivazione e preparazione del cibo, della raccolta di legna e acqua e talvolta anche della produzione di oggetti d’uso comune nella vita quotidiana. Sono le donne ad aver sviluppato la prima relazione produttiva con la natura: per nutrire e proteggere i figli hanno acquisito una conoscenza profonda della natura e dei suoi funzionamenti e l’hanno tramandata, consentendo la sopravvivenza del genere umano. Tuttora, sostiene Vandana Shiva, sono le donne a fornire “il maggior contributo alla sicurezza alimentare, producendo più della metà del cibo consumato sul pianeta e provvedendo per più dell’80 percento al fabbisogno alimentare di famiglie e regioni insicure sul piano alimentare.”[1]. Le donne sono le massime esperte di biodiversità e di nutrizione, sono detentrici di un sapere antiriduzionistico e antimeccanicistico radicato nei principi dell’agro-ecologia, un sapere “più sofisticato di quello delle industrie e dei sedicenti ‘esperti’ che propagandano l’agricoltura industriale.”[2] Il cibo prodotto dalle donne è il più vario e nutriente, e i sistemi di produzione alimentare che gestiscono si fondano su principi quali la condivisione, la conservazione delle risorse, la cura reciproca, nonché su pratiche economiche che consentono di produrre una notevole varietà di alimenti in quantità sufficienti per tutti con poco. Nonostante questo, l’economia capitalista non prende in considerazione il loro lavoro, anzi lo svaluta e lo considera improduttivo rendendolo invisibile, poiché basato su logiche di sostentamento e non di profitto. Oscurando il lavoro delle donne e distruggendo i sistemi alimentari tradizionali gestiti da loro, spiega Shiva, il calcolo scientifico patriarcale che ha concepito un sistema alimentare non sostenibile, ingiusto e antidemocratico, sta distruggendo anche la salute del pianeta e delle persone.[3]


"Sono le donne ad aver sviluppato la prima relazione produttiva con la natura"


Secondo le ecofemministe il modo di pensare gerarchico, dualistico ed oppressivo affermatosi con il capitalismo ha danneggiato sia la donna che la natura: la donna è stata “naturalizzata”, ovvero de-umanizzata e descritta in termini animaleschi, e la natura “umanizzata”, o meglio “femminilizzata”, parlando di “lei” come qualcosa da controllare, conquistare, sottomettere. La liberazione della donna e della natura non possono che avvenire assieme: “le donne devono capire che non ci sarà liberazione per loro né soluzione alla crisi ecologica all’interno di una società il cui modello fondamentale relazionale continua ad essere di dominio. [Le femministe] devono unire le domande del movimento delle donne con quelle del movimento ecologico per riformulare le relazioni socioeconomiche di base e i valori sottointesi di questa società”, afferma Rosemary Radford Ruether.[4]


"La liberazione della donna e della natura non possono che avvenire assieme"

La prospettiva ecofemminista infine mette in luce la necessità di una nuova cosmologia e antropologia che riconosca che la vita nella natura (dunque anche quella degli esseri umani) è mantenuta da mezzi cooperativi, dalla mutua assistenza e dall’amore reciproco. Solo così è possibile rispettare e preservare la diversità di ogni forma di vita. La libertà e la felicità dell’essere umano non dipendono dunque da un continuo processo di emancipazione dalla natura e sul dominio di questa e dei processi naturali attraverso il potere della ragione: la scienza moderna e la tecnologia, argomentano le ecofemministe, celebrate come grandi liberatrici dell’umanità, hanno causato un crescente degrado ecologico.[5]


"La vita nella natura è mantenuta da mezzi cooperativi, dalla mutua assistenza e dall’amore reciproco"


I due temi ecofemministi fondamentali sono la vita e la libertà. La libertà è intesa come libertà all’interno dei limiti della necessità e della natura, che permetta di nutrire e conservare il potenziale della natura in tutte le sue dimensioni e manifestazioni. “La libertà all’interno del regno della necessità [the realm of necessity] può essere estesa a tutti, la libertà dalla necessità può essere accessibile solo a pochi.”[6]: la natura è infatti un bene esauribile, per questo bisogna imparare a conservarla vivendo nel modo più semplice possibile e consumando solo ciò di cui si ha realmente bisogno. Sviluppare quella che Shiva chiama “una prospettiva di sussistenza” è necessario per dissolvere le pratiche e i sistemi che minacciano di distruggere la terra, poiché ogni persona dovrebbe poter disporre di una fetta delle risorse naturali mondiali.


[1] SHIVA V., Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli Editore, Padova, 2015, p. 160. [2] Ibi., p. 161. [3] Cfr. ibi., pp. 160-162.


[4] Cfr. TONG R. e FERNANDES BOTTS T., Feminist Thought, A more comprehensive introduction, Westview Press, New York, 2018, pp. 205-206. [5] Cfr. MIES M. e SHIVA V., Ecofeminism, Zed Books, Londra, p. 6. [6] Ibi., p. 8.

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