Vandana Shiva, una delle voci più autorevoli dell'ecologia mondiale
- Marta Regattin
- 7 apr 2020
- Tempo di lettura: 6 min
"Il Pil si fonda su un falso assunto: se si consuma quel che si produce è come se non si producesse"

Vandana Shiva è una scienziata (fisica quantistica), economista militante ambientalista, e rappresenta una delle esponenti più interessanti dell’ecofemminismo nonché la teorica più nota dell’ecologia sociale. È conosciuta grazie al successo del suo libro Monocolture della mente (1995), un best-seller in tutto il mondo, e in Italia anche grazie al documentario del 2009 Terra Madre, di Ermanno Olmi. Vandana ha fondato l’organizzazione Navdanya, nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, il primo di numerosi premi, ed è tra i principali leader dell’International Forum on Globalization, nonché vicepresidente di Slow Food Internazionale. Oggi è consulente per le politiche agricole di numerosi governi, in Asia e in Europa, membro di decine di direttivi in svariati organismi internazionali, e vive in parte nell’ambiente internazionale delle Nazione Unite e in parte nel mondo rurale indiano, dove ha sede Navdanya.
Vandana nasce nel nord-est dell’India da una famiglia progressista impegnata nella lotta per il superamento delle caste e per i diritti civili, cresce in un ambiente culturalmente ricco e stimolante e a stretto contatto con la natura, tra le foreste del Rajasthan (suo padre è una guardia forestale) e la fattoria gestita dalla madre. Dopo la laurea in filosofia della scienza e il dottorato sui concetti filosofici della meccanica quantistica, fonda nel 1982 la Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy (istituto di ricerca da lei diretto che si occupa di ecologia sociale), proprio mentre nella valle si diffonde il movimento Chipko, un movimento di donne che lottano contro la distruzione delle foreste da cui traggono sostentamento. All’epoca, nella regione, erano ormai evidenti le conseguenze della “rivoluzione verde” nel settore agricolo indiano: l’introduzione dei fertilizzanti, delle monocolture e di varietà selezionate di semi nell’agricoltura indiana avevano degradato i terreni e le acque.
“Le vittime principali di questa trasformazione erano soprattutto le donne”
Anche a causa delle espropriazioni, le vittime principali di questa trasformazione erano soprattutto le donne, le cui antiche pratiche di coltivazione erano considerate improduttive per l’agricoltura volta all’esportazione, ma in realtà erano molto più rispettose degli ecosistemi, scrive Shiva in Staying Alive (1988). Vandana scriverà oltre venti saggi, e un volume dal titolo Ecofemminismo insieme a Maria Mies. “Le donne non riproducono solo se stesse, ma formano un sistema sociale e dalla loro creatività proviene quello che io chiamo ecofemminismo. Le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte”[1], scrivono in Ecofemminismo.

È in uno dei suoi primi saggi che Vandana comincia a parlare del rapporto tra donne e natura: si tratta di Sopravvivere allo sviluppo, del 1990. “Le donne in India fanno intimamente parte della natura, nell’immaginario e nella vita reale: la natura è simboleggiata come l’incarnazione del principio femminile e, nel reale, è orientata dal principio femminile alla produzione di vita e nutrimento”[2], scrive Shiva. Secondo la tradizione popolare, cosmologica ed esoterica indiana, il mondo ha avuto origine a partire da un’energia dinamica primordiale, che costituisce ogni cosa: questa energia, “principio femminile e creativo dell’universo, fonte dell’abbondanza, Madre della Natura”[3], sakti, si manifesta attraverso la natura e la vita, e insieme al “principio maschile”, purusa, crea il mondo. Secondo questa visione del mondo l’essere umano e la natura sono legati l’un l’altro dai concetti di vita e nutrimento, la natura è concepita come “sostanza” dell’uomo, idea in totale opposizione con la concezione occidentale di essere umano superiore alla natura, quindi distinto da essa e in grado di dominarla. “Il “divorzio” tra l’uomo e la natura ha permesso al primo di sottomettere quest’ultima e ha prodotto una nuova visione del mondo in cui la natura è passiva, […] separata dall’essere umano e inferiore, fatta per essere dominata e sfruttata. […] La frattura all’interno della natura e tra l’uomo e la natura, con la trasformazione conseguente di questa da forza di vita che nutre a risorsa sfruttabile […] [crea] un paradigma di sviluppo che danneggia sia la natura che l’uomo.”[4]
Il concetto di Madre Terra come creatrice e protettrice varia tra le diverse culture precoloniali, ma rimane un concetto condiviso. Diverse tra le antiche interpretazioni del mondo, spiega Shiva, si fondavano infatti sull’“umanizzazione della natura e la naturalizzazione della società”[5], facendo sì che non ci fossero sfruttamento e dominio dell’uomo sulla natura, come invece accadde a partire dalla fine del feudalesimo in particolare con i primi processi di colonizzazione, che definendo donne e natura come sottosviluppati, finirono per portare queste realmente al sottosviluppo.[6]
“Il concetto di Madre Terra come creatrice e protettrice varia tra le diverse culture precoloniali, ma rimane un concetto condiviso”

Nei primi anni Novanta Vandana fonda Navdanya (nove semi), un’organizzazione che si occupa della difesa della biodiversità, della sovranità alimentare, delle culture e della salvaguardia delle conoscenze indigene e tradizionali antiche sulla conservazione e il rinnovamento delle risorse naturali, dei semi e dei diritti dei piccoli agricoltori in tutto il mondo. L’organizzazione nasce in riposta alla crisi ecologica della biodiversità causata dallo sfruttamento delle risorse naturali da parte del capitalismo agro-alimentare. “Navdanya promuove un nuovo paradigma agricolo ed economico, una cultura del “cibo come salute”, in cui la responsabilità ecologica e la giustizia economica prendono il posto dell’avidità, del consumismo e della concorrenza, che dominano la società attuale. Ha come scopo il riscatto dei beni comuni come fondamento di un rinnovato senso di comunità, solidarietà e di una cultura di pace.”[7] L’associazione ha dimostrato con la ricerca che l’agroecologia è in grado di migliorare la nutrizione e la salute, di incrementare il reddito dei piccoli agricoltori, nel rispetto dell’ambiente. Nel corso degli anni il movimento è cresciuto fino a diventare una “comunità globale” ed ha contribuito in modo significativo a dare risalto nel dibattito globale alla stretta connessione tra le diverse crisi naturali e sociali e allo stesso tempo nel facilitare la collaborazione tra diversi movimenti per l’attuazione di strategie comuni e interconnesse. Infine, con il progetto Earth Democracy (Democrazia della Terra), Navdanya promuove una nuova visione globale di Cittadinanza Planetaria, alternativa, basata sulla comprensione reciproca e sulla cura della Terra e della Società basata sulla Legge di Reciprocità, secondo cui “la responsabilità verso l’ecologia e la giustizia nell’economia hanno un ruolo centrale nella creazione di un futuro sostenibile per l’umanità”.[8]
“La responsabilità verso l’ecologia e la giustizia nell’economia hanno un ruolo centrale nella creazione di un futuro sostenibile per l’umanità”
Vandana Shiva è oggi impegnata su più fronti: partecipa a conferenze internazionali e alle lotte contro le insidie della globalizzazione neoliberista, la crescita ad ogni costo, l’ingiusta ripartizione delle risorse, gli organismi geneticamente modificati. Vandana considera lo sviluppo economico e l’apparente crescita una minaccia per la sopravvivenza del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano: non risolve i problemi, non risponde ai bisogni essenziali del mondo e della popolazione, ma crea nuovi disastri ambientali e un forte indebitamento dei paesi in via di sviluppo. Oggi assistiamo ad una concentrazione senza precedenti del controllo sul sistema agroalimentare a livello internazionale: la libertà di disporre del cibo è sempre di più messa in discussione, e le persone dovranno lottare come hanno lottato per il diritto al voto, con la differenza che, scrive la scienziata, “non vivi o muori sulla base del diritto al voto, ma vivi o muori sulla base del rifiuto del diritto di disporre di cibo”.

Infine scrive Shiva nel 2015 in Chi nutrirà il mondo: "L'economia patriarcale costruisce una barriera immaginaria per negare la produzione che avviene nell'ambito dell'economia naturale e nell'economia della gente, mirata al sostentamento. Lo sfruttamento delle risorse e delle persone viene poi presentato come produzione e crescita. Il Pil si fonda su un falso assunto: se si consuma quel che si produce, è come se non si producesse. Il lavoro delle donne, nell'economia alimentare viene con ciò cancellato, nonostante sia proprio questo lavoro a nutrire le persone"[9].
[1] MIES M. e SHIVA V., Ecofeminism, Zed Books, Londra, 1993.
[2] SHIVA V., Sopravvivere allo sviluppo, ISEDI Petrini editore, Torino, 1990, p. 49.
[3] Ibi., pp. 49-50.
[4] Ibi., p. 52.
[5] Ibi., p. 52.
[6] Cfr. ibi., p. 53.
[7] https://navdanyainternational.org/it/.
[8] Ibidem.
[9] SHIVA V., Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli Editore, Padova, 2015, pp. 165-166.
Fonti bibliografiche
SHIVA V., Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli Editore, Padova, 2015
SHIVA V., Il pianeta di tutti, come il capitalismo ha colonizzato la terra, Feltrinelli Editore, Milano, 2019
SHIVA V., Sopravvivere allo sviluppo, ISEDI Petrini editore, Torino, 1990
MIES M. e SHIVA V., Ecofeminism, Zed Books, Londra, 1993
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