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Caccia alle streghe e nascita del capitalismo in Europa: una stretta connessione - parte due

  • Immagine del redattore: Marta Regattin
    Marta Regattin
  • 17 lug 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 12 feb 2021

Il fine delle nuove politiche demografiche era l'assoggettamento della donne alla riproduzione della forza-lavoro

La grande crisi economica e demografica del XVI e XVII secolo trasformò in una questione politica la riproduzione e l’andamento demografico della popolazione, in pratica rese necessario allo sviluppo del sistema capitalista l’introduzione di politiche demografiche nuove basate sull’organizzazione del lavoro riproduttivo (inteso non solo come procreazione, ma anche come insieme della attività che consentono la riproduzione quotidiana della vita, dunque la sopravvivenza): il fine di queste politiche era l’assoggettamento delle donne alla riproduzione della forza-lavoro. Spiega Federici: “Non può […] essere solo una coincidenza se nel momento in cui la popolazione stava calando e si diffondeva un’ideologia che affermava la centralità del lavoro nella vita economica, nei codici legali d’Europa furono introdotte pene severe per punire le donne accusate di crimini contro la procreazione”.

Era diffusa la convinzione che il numero dei cittadini determinasse la ricchezza di una nazione

Durante la crisi infatti si svilupparono una teoria demografica espansionista e politiche volte a promuovere la crescita della popolazione, sulla base della convinzione diffusa che il numero dei cittadini determinasse la ricchezza di una nazione. Per superare la crisi, lo Stato non solo promosse misure volte ad incentivare la natalità, incrementò l’assistenza pubblica e iniziò il censimento demografico, ma cominciò inoltre a supervisionare la sessualità, la procreazione e la vita famigliare, fino a mettere in atto una vera e propria guerra contro le donne per porre fine al controllo che esse esercitavano sui propri corpi e sulla riproduzione. In altre parole, venne condannata ogni forma di controllo sulle nascite e di sessualità non procreativa: le pene previste contro l’utilizzo di metodi contraccettivi, l’aborto e l’infanticidio si inasprirono, e in Europa, tra il XVI e XVII secolo, vennero giustiziate più donne per infanticidio e stregoneria che per qualsiasi altro crimine, quest’ultime accusate di sacrificare i bambini al diavolo e di aver violato altre norme riproduttive. Contemporaneamente a queste politiche, si affermarono due nuove tendenze: l’emarginazione delle levatrici, che furono gradualmente sostituite da medici maschi considerati più competenti delle donne, e la diffusione della pratica medica secondo la quale, in caso di emergenza, si sarebbe privilegiata la vita del feto su quella della madre.

Una donna partorisce con l'aiuto di una levatrice

Una nuova divisione sessuale del lavoro e una nuova organizzazione della famiglia

Il nuovo contratto sociale svalutava il lavoro e il ruolo delle donne e le privava dei loro diritti

Le dirette conseguenze delle nuove politiche furono la creazione di gerarchie e differenze costitutive del dominio di classe e necessarie per lo sviluppo del capitalismo: una nuova divisione sessuale del lavoro e una nuova organizzazione della famiglia, la famiglia nucleare.

Le politiche demografiche e la caccia alle streghe, intesa come attacco contro l’intero genere femminile, condussero alla nascita di un nuovo contratto sociale che svalutava il lavoro e il ruolo delle donne e le privava dei loro diritti. Con la nuova divisione sessuale del lavoro la maternità fu degradata a lavoro forzato, la femminilità ridefinita secondo nuovi standard e le donne, per la prima volta nella storia, furono confinate in massa al lavoro riproduttivo. Nonostante anche prima dell’avvento del capitalismo esistessero rapporti di potere ineguali tra i sessi e una divisione del lavoro discriminante, la nuova divisione del lavoro aumentò ulteriormente il divario tra uomo e donna e ne ridefinì drasticamente i ruoli e le caratteristiche considerate appropriate.

Lavori femminili nel basso Medioevo


La definizione di donna cambia in base alle esigenze del potere


È interessante notare come la definizione di donna cambi in questo periodo storico in base alle esigenze del potere: durante la caccia alle streghe le donne erano definite come esseri selvaggi, mentalmente deboli, insaziabili nella loro lussuria, incapaci di controllarsi e ribelli, ma verso la fine del XVII secolo, una volta affermata la nuova divisione sessuale del lavoro, la donna è definita come moglie, passiva, obbediente, parsimoniosa, di poche parole, sempre indaffarata, casta e in grado di esercitare sugli uomini un’influenza benefica. Fu tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo che le donne cominciarono ad essere definite come “non lavoratrici”, o lavoratrici “non produttive”, e il lavoro domestico fu etichettato come “attività” che non produceva valore: le donne si ritrovarono segregate in casa, dipendenti dai mariti ed escluse dai lavori che svolgevano da sempre, come l’ostetricia e la fermentazione della birra. I pochi impieghi retribuiti a cui potevano ancora ambire erano perlopiù lavori umili, mal retribuiti, che non permettevano ad una donna sola di mantenersi: il matrimonio divenne il vero lavoro delle donne e la prostituzione l’unico mestiere che permetteva alle donne sole di sopravvivere.

Il matrimonio divenne il vero lavoro delle donne e la prostituzione l’unico mestiere che permetteva alle donne sole di sopravvivere

Non a caso la prostituzione, accettata e considerata normale fino al XVI secolo, quando divenne la principale fonte di sussistenza di gran parte della popolazione femminile non sposata venne rapidamente criminalizzata. La messa al bando della prostituzione, l’espulsione della donna dai posti di lavoro salariato, la creazione della casalinga e la costruzione di nuovi canoni culturali che estremizzavano le differenze tra uomini e donne, sono fenomeni legati tra loro.

L’obiettivo di queste trasformazioni sociali era la separazione della famiglia dalla sfera pubblica e la sua ridefinizione come “famiglia nucleare”, ovvero centro di produzione della forza-lavoro in cui il lavoro della donna era definito come una “risorsa naturale” che si poteva liberamente sfruttare. “Con questo nuovo contratto sociale e sessuale, le donne proletarie diventarono il sostituto delle terre che i lavoratori avevano perso con le enclosures, divenendo così il loro principale mezzo di riproduzione e un “bene comune” di cui chiunque poteva appropriarsi ed usare a piacimento.” Federici definisce l’appropriazione della donna considerata un “bene comune” da sfruttare come “appropriazione originaria”, una sconfitta storica per l’intero genere femminile.



L’appropriazione della donna considerata un “bene comune” da sfruttare è una sconfitta storica per l’intero genere femminile
 

Fonti bibliografiche:

DALLA COSTA M. e DALLA COSTA GIOVANNA F., Donne, sviluppo e lavoro di riproduzione, FrancoAngeli s.r.l., Milano, 1996

FEDERICI S., Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, Milano-Udine, 2015

FEDERICI S., Il punto zero della rivoluzione, Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, ombre corte, Verona, 2014

FEDERICI S., Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons, Ombre Corte, Verona, 2018

 

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