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Violenza contro le donne e capitalismo: c'è un legame?

  • Immagine del redattore: Marta Regattin
    Marta Regattin
  • 25 feb 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 9 mar 2022

Introduzione


Avevo deciso di scrivere un articolo sulla violenza contro le donne, cercando di spiegare le cause del fenomeno, perché è un fenomeno specifico e come contrastarlo. Nella mia ricerca, però, non ho potuto fare a meno di riflettere sul rapporto tra violenza e capitalismo, ricavandone una visione più ampia sul problema della violenza nel mondo contemporaneo.


Con questo articolo cercherò di spiegarvi perché la violenza è un elemento strutturale dell’accumulazione di capitale, cominciando con una breve riflessione sulla violenza contro le donne nell’epoca dell’accumulazione originaria arrivando infine a spiegarvi perché è ancora così radicata nella nostra società occidentale.


I miei riferimenti bibliografici sono, tra gli altri, Giovanni Arrighi, Silvia Federici e Maria Mies (uno storico, una filosofa e una sociologa che avrete imparato a conoscere se leggete i miei articoli regolarmente). Non è un argomento semplice: per avere una visione più completa della questione vi consiglio di leggere i miei articoli sulla caccia alle streghe, la globalizzazione neoliberista, la divisione internazionale del lavoro e l’integrazione delle donne nello sviluppo. Infatti questo articolo è anche un modo per darvi una visione d’insieme rispetto a tante tematiche che ho trattato finora, declinate qui rispetto al problema della violenza.


Con questo articolo spero di essere in grado di fornirvi se non altro degli spunti di riflessione per poter leggere la storia e la realtà in modo critico, che è sempre, come sapete, la ragione principale per cui ho aperto questo blog.

Cos’è la violenza contro le donne


La violenza contro le donne oggi è un fenomeno molto diffuso che coniuga lo sfruttamento e l’oppressione delle donne aldilà della classe, nazione o etnia, ed è storicamente legato alle relazioni sfruttanti uomo-donna, di classe e internazionali: tutte queste relazioni sono oggi integrate nei sistemi di accumulazione. Vediamo come.


Violenza contro le donne nell’epoca dell’accumulazione originaria


La subordinazione delle donne con diverse forme di violenza è stata un elemento strutturante la società capitalista fin dall’epoca dell’accumulazione originaria (ovvero il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione, definito «originario» perché sancisce l'inizio della diffusione del capitalismo e del modo di produzione ad esso corrispondente), e ha avuto il suo apice con il fenomeno della caccia alle streghe cominciato alla fine del basso medioevo, agli albori cioè dell’epoca dei Lumi. La distruzione di un determinato stile di vita e in particolare di un insieme di pratiche femminili che ostacolavano l’accumulazione della forza-lavoro è stato fondamentale nel periodo dell’accumulazione originaria per costruire un nuovo ordine capitalista fondato su una più intensa e diversa disciplina del lavoro. Non mi dilungherò qui spiegandovi i dettagli, perché ne parlo già in modo molto approfondito in altri due articoli.

Da allora, la violenza nei confronti delle donne è diventata gradualmente parte integrante dei rapporti familiari e di genere, ed è uno dei fattori che ha permesso l’affermazione delle relazioni di produzione capitalista, ovvero le relazioni contrattuali tra coloro che possiedono la forza-lavoro (i lavoratori) e coloro che possiedono i mezzi di produzione (secondo la teoria marxista sono i mezzi fisici di lavoro - macchine, utensili, terre e materie prime). Senza il lavoro non libero, coercitivo e coloniale (svolto in gran parte, ma non esclusivamente, dalle donne), il lavoro contrattuale del proletario libero non sarebbe stato possibile. Le donne, le persone che abitavano le colonie e la natura erano considerate proprietà, soggetti non liberi da sottomettere e sfruttare con la forza e la violenza.


Violenza contro le donne nell'epoca della globalizzazione neoliberista

Partiamo dunque dal contesto, molto ampio, della globalizzazione neoliberista. Non vi ricordate o non vi è chiaro di cosa sto parlando? Cliccando sul concetto si aprirà un breve articolo in cui ve ne parlo approfonditamente. In breve, non si tratta della semplice “globalizzazione” intesa come processo spaziale neutrale, ma di un tipo di globalizzazione (e l’unico finora attuato) messa in atto dalle idee, dalle politiche e dalle istituzioni neoliberali.

Oggi la diffusione e la brutalità della violenza contro le donne sta nuovamente raggiungendo livelli altissimi. Ci troviamo infatti in un periodo storico che Arrighi definisce come “caos sistemico”, ovvero transizione da una egemonia ad un’altra, e Federici invece definisce come “uno di quei momenti pericolosi nella storia in cui la classe capitalista è pronta a mettere sottosopra il mondo per consolidare il proprio potere”, proprio perché è in crisi. Ritiene che stiamo assistendo ad un’escalation di violenza contro le donne, specialmente afro-discendenti, perché la globalizzazione neoliberista altro non è che un nuovo processo di accumulazione originaria (cominciato circa negli anni '80 e tutt'ora in corso). L'accumulazione contemporanea continua ad essere accumulazione di lavoro e a fondarsi sull’impoverimento della popolazione a livello mondiale, il peggioramento della qualità della vita e condizioni di lavoro sempre più misere. L’accumulazione di capitale ha bisogno di costruire in qualsiasi epoca nuove gerarchie e divisioni sociali basate sul genere, la razza e l’età, accrescendo le diseguaglianze e la frammentazione sociale.


Scrive Silvia Federici nel suo ultimo libro "Reincantare in mondo":

“dobbiamo ritornare al commercio degli schiavi per trovare forme di sfruttamento altrettanto brutali quanto quelle che la globalizzazione ha prodotto in molte parti del mondo. Non solo è riapparsa la schiavitù; sono tornate le carestie e sono emerse forme cannibalistiche di sfruttamento, come la vendita di organi e il traffico di parti del corpo, inimmaginabili negli anni Sessanta e Settanta.”

L'accumulazione contemporanea continua ad essere accumulazione di lavoro e a fondarsi sull’impoverimento della popolazione a livello mondiale

Si può dunque affermare, in generale, che la violenza non emerga direttamente dalla vita quotidiana di una comunità, ma sia piuttosto funzionale alla sopravvivenza del sistema: non sorprende che sia più intensa nelle regioni più sfruttate dalle imprese, e in particolare nelle ex colonie (i paesi del Sud del mondo). Ora cercherò di spiegarmi meglio con due esempi.


LA PRIVATIZZAZIONE DELLE TERRE. Nei paesi del Sud del mondo la violenza è un utile mezzo per sconfiggere la resistenza delle popolazioni e permettere alle imprese e alle società minerarie e petrolifere la confisca delle terre, le privatizzazioni, lo smantellamento di interi villaggi. Questa violenza è sempre necessaria quando le persone hanno ancora accesso ai mezzi di produzione, come ad esempio i contadini che non cominciano volontariamente a produrre beni per il mercato esterno.

Le donne sono considerate il maggior ostacolo alla commercializzazione della terra

In questo contesto, specie nelle zone rurali dell'Africa Subsahariana e dell'India, le donne sono considerate il maggior ostacolo alla commercializzazione della terra (ovvero alla creazione di mercati agricoli per l’esportazione e all’estensione del controllo delle imprese commerciali sulle risorse naturali) perché sono loro ad avere il ruolo di collante sociale in molte comunità e a difendere un’idea di ricchezza e sicurezza economica basata sulla sussistenza e dunque non orientata al mercato. Fino ad epoca recente, nelle zone rurali di questi paesi, le donne amministravano le terre comuni, possedevano terre e lavoravano nell’agricoltura di sussistenza.


Non è un caso che sia il possesso della terra, sia l’agricoltura di sussistenza, siano da tempo fortemente osteggiate soprattutto da istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, promotrici dei "programmi di sviluppo" e della commercializzazione della terra in questi paesi. Al fine di sconfiggere la resistenza della popolazione e distruggere tali forme storiche di sostentamento delle comunità, queste istituzioni diffondono l’idea che la sussistenza sia la maggior causa della povertà femminile, descrivono la terra usata in tal modo come un “bene morto”, e il denaro come unico modo di generare altra ricchezza. In realtà, l’agricoltura di sussistenza e il possesso della terra sono stati due elementi essenziali per la sopravvivenza di molte persone durante i brutali programmi di austerità.


L’INTEGRAZIONE DELLE DONNE NELLO SVILUPPO. Qualunque sia la differenza tra le varie relazioni produttive con le quali le donne sono integrate nello sviluppo” nei paesi del Sud del mondo, o meglio subordinate al processo globale di accumulazione del capitale, una cosa è chiara: questa integrazione non significa che loro diventino lavoratrici salariate libere o proletarie, né libere imprenditrici, nonostante tutta la retorica a riguardo usata dalle agenzie di sviluppo. È l’uso della violenza e della coercizione che permette di sfruttare le donne e sembra presente in tutte le relazioni di lavoro che le coinvolgono. Nelle Free Trade Zones (zone industriali esenti da ogni regolamento collocate nei paesi del Sud del mondo dove generalmente si producono beni di consumo di massa a basso costo per l’esportazione verso i paesi ricchi) i sindacati non hanno il permesso di entrare e vige un regime di lavoro praticamente forzato sotto un controllo pressoché militare: vengono assunte solo giovani donne non sposate, se si sposano vengono licenziate, e subiscono una costante pressione affinché il loro lavoro sia più produttivo.


Circostanze alla base della violenza nella società occidentale

Sono i ruoli di genere patriarcali a favorire relazioni violente

Nei paesi più ricchi, occidentali, del Nord del mondo, i ruoli di genere patriarcali (costruiti e consolidati così come li conosciamo ora nell’epoca dell’accumulazione originaria) favoriscono relazioni violente, ruoli di cui abbiamo iniziato relativamente da poco a prendere coscienza e cha siamo ancora lontani e lontane dal sovvertire. Le aspettative che si hanno sui comportamenti e i ruoli che uomini e donne devono avere nella società, all’interno delle relazioni e della famiglia, creano dinamiche comportamentali di cui è difficile prendere coscienza e ancor di più uscirne. Portate all’estremo queste dinamiche possono sfociare nella violenza domestica, fisica, psicologica, talvolta e troppo spesso nel femminicidio.


A contribuire al mantenimento di ruoli stereotipati che ormai possiamo chiamare, purtroppo, culturali, giocano un ruolo fondamentale la politica economica e sociale, l’immagine della donna veicolata dai media e la commercializzazione della riproduzione, da considerarsi forme di violenza. L’aumento della povertà e i tagli al welfare degradano la condizione di donne e uomini, così come

“la celebrazione di modelli aggressivi e misogini di mascolinità […] (e) la costruzione mediatica di modelli femminili iper-sessualizzati […] che contribuiscono alla diffusione di una cultura misogina, in cui l’aspirazione della donna all’autonomia è degradata e rappresentata come una provocazione sessuale lanciata agli uomini”, scrive Silvia Federici.

Conclusioni


I cacciatori di streghe medievali e i fautori del colonialismo hanno costruito un ordine specificatamente capitalista e patriarcale, che continua ad essere presente, anche se deve essere continuamente ricostruito in risposta alla resistenza delle donne, dei lavoratori, alle esigenze del mercato del lavoro che cambiano continuamente e alla crisi del capitale, oggi particolarmente grave.


Lo sfruttamento delle donne tramite la violenza e la coercizione dunque è parte del capitalismo e necessario al processo di accumulazione del capitale: il capitalismo deve costruire o rafforzare le relazioni patriarcali se vuole mantenere il suo modello di accumulazione, progresso e sviluppo che si basa sulla dominazione e lo sfruttamento della natura e del lavoro.

 

Fonti bibliografiche

  • ARRIGHI G., Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, ilSaggiatore, Milano, 2014

  • DALLA COSTA M. e DALLA COSTA GIOVANNA F., Paying the price, Women and the politics of international economic strategy, Zed Books, Milano, 1993

  • FEDERICI S., Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons, Ombre Corte, Verona, 2018

  • MIES M., Patriarchy and accumulation on a world scale, Zed Books Ltd, Londra, 2014

  • PEET R., Unholy trinity, the IMF, World Bank and WTO, Zed Books Ltd, Londra-New York, 2003

  • SHIVA V., Sopravvivere allo sviluppo, ISEDI Petrini editore, Torino, 1990

  • SHIVA V., Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli Editore, Padova, 2015

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