Cos'è la divisione internazionale del lavoro
- Marta Regattin
- 15 ott 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 12 feb 2021
Prima di parlarvi della condizione dei lavoratori ed in particolare delle donne nella nuova divisione internazionale del lavoro, quella contemporanea, in questo articolo voglio spiegarvi cos'è e come si è evoluta. Un breve approfondimento storico necessario per capire meglio il mondo in cui viviamo.
La prima divisione internazionale del lavoro
Lo sviluppo dell’economia capitalista mondiale non solo si è basato sulla divisione sessuale del lavoro (vedi articoli sulla caccia alle streghe), ma anche su una divisione internazionale del lavoro. La logica che governa entrambe le divisioni è la relazione contraddittoria tra progresso da un lato e regresso dall’altro.
Per divisione internazionale del lavoro (DIL), che comincia nel periodo coloniale e si protrae fino agli anni Settanta del Novecento, si intende la relazione verticale esistente tra il potere coloniale e le sue colonie dipendenti in Africa, America Latina e Asia. Le materie prime venivano prodotte nelle colonie e poi trasportate nei paesi industrializzati europei o negli Stati Uniti, dove venivano trasformate in prodotti industriali poi venduti negli stessi paesi o esportati, anche nelle colonie, rovinando le industrie locali che non potevano competere con i prodotti europei a basso costo.

Il mondo coloniale (da treccani.it)
Per divisione internazionale del lavoro (DIL) si intende la relazione verticale esistente tra il potere coloniale e le sue colonie dipendenti in Africa, America Latina e Asia.
DIL significa anche che il lavoro non aveva lo stesso valore nelle colonie e nelle metropoli: nelle colonie aveva un costo basso perché svolto da schiavi o lavoratori sfruttati e sottopagati, le materie prime erano dunque importate a costi bassi, ma nelle metropoli il costo del lavoro di trasformazione di queste era alto perché ci fosse il potere d’acquisto per questi beni. Nelle colonie il potere d’acquisto rimaneva invece basso.
Questa relazione portò ad un incremento del benessere e della ricchezza nei paesi industrializzati, mentre nelle colonie aumentò l’impoverimento e il sottosviluppo.
La nuova divisione internazionale del lavoro
Negli anni Settanta, i manager delle grandi imprese nazionali e multinazionali in Europa, Stati Uniti e Giappone si resero conto che il periodo di boom economico che aveva seguito la Seconda guerra mondiale e permesso una crescita continua, considerata come un processo inarrestabile, era in realtà giunto al termine. La vecchia DIL non rispondeva più alle nuove esigenze di crescita e accumulazione capitalistica, anche a causa della crescente conflittualità operaia: il sistema andava modernizzato.
Venne dunque messo a punto un nuovo modello, che oggi rappresenta quello dominante, principalmente con il contributo dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo e il supporto della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI), i pilastri istituzionali delle politiche economiche neoliberiste al servizio del capitale internazionale.
La nuova strategia si basava da un lato sulla modernizzazione e la commercializzazione dell’agricoltura e di altri processi di sfruttamento delle risorse naturali attraverso privatizzazioni, espropri e l’introduzione di nuove tecnologie nei paesi cd. in via di sviluppo o del terzo mondo (le vecchie colonie), in modo che potessero produrre per l’esportazione verso i paesi ricchi; dall’altro sulla ricollocazione, da parte delle compagnie multinazionali, di una parte delle proprie attività industriali nei paesi in via di sviluppo attraverso lo stabilimento di Free Trade o Free Production Zones (zone di libero scambio), zone industriali esenti da ogni regolamento dove si cominciò a produrre beni di consumo di massa a basso costo per l’esportazione verso i paesi occidentali.
I paesi in via di sviluppo non trassero alcun vantaggio da questa ricollocazione.

Lavoratori e lavoratrici in un'industria tessile ricollocata in India
Questo fu possibile perché l’assenza di regolamenti e tutele sociali dei lavoratori nelle zone di libero scambio permise l’introduzione di un processo produttivo di lavoro intensivo mantenendo una protezione sociale minima e imponendo salari al di sotto della sussistenza. Le industrie ricollocate, principalmente manifatturiere o concernenti il settore dell’elettronica (entrambi settori ad alta intensità di lavoro), appartenevano in larga parte alle multinazionali statunitensi, tedesche e giapponesi e restarono sotto il controllo di queste e non dei paesi in via di sviluppo, che non trassero alcun vantaggio da questa ricollocazione.
“La Ndil viene fatta quindi coincidere con la formazione delle Free Trade Zones […] e con la capacità acquisita dalle compagnie multinazionali di strutturare la propria attività produttiva sulla base di una ‘catena di montaggio su scala mondiale’” scrivono le sorelle Dalla Costa in Donne, sviluppo e lavoro di riproduzione.
Un altro importante aspetto collegato alla nuova DIL, o Ndil, che ne aggrava le conseguenze, è la gestione delle “crisi del debito” nei paesi in via di sviluppo, che le istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, dagli anni Settanta circa, cercano di risolvere imponendo i cosiddetti aggiustamenti strutturali e politiche di liberizzazione.
Questi sono gli aspetti principali che caratterizzano la Ndil o nuova divisione internazionale del lavoro. Spero che questo breve articolo abbia chiarito alcuni dubbi, se avete domande scrivetemi nei commenti o sulla mia pagina IG @theecofeministawakening!
Fonti bibliografiche
DALLA COSTA M. e DALLA COSTA GIOVANNA F., Donne, sviluppo e lavoro di riproduzione, FrancoAngeli s.r.l., Milano, 1996 MIES M., Patriarchy and accumulation on a world scale, Zed Books Ltd, London, 2014 PAYER C., Commodity trade of the third world, The Macmillan Press Ltd, Great Britain, 1975
PEET R., Unholy trinity, the IMF, World Bank and WTO, Zed Books Ltd, Londra-New York, 2003
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