L'integrazione delle donne indiane nello "sviluppo"
- Marta Regattin
- 17 gen 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 12 feb 2021
Con questo articolo continuo a parlarvi di diverse tematiche che ho in precedenza introdotto: la consapevolezza dei consumatori, lo sfruttamento del lavoro delle donne, in particolare delle donne che vivono nei paesi "del Sud del mondo", il concetto di sviluppo neoliberista e dunque la globalizzazione neoliberista come contesto in cui tutto questo avviene. Il focus di oggi è sul lavoro delle donne indiane, con un breve passaggio sulla privatizzazione della terra e poi un approfondimento sul settore dell'abbigliamento. Buona lettura!
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INTRODUZIONE
La causa del crescente sottosviluppo che colpisce le donne oggi in India non è da cercarsi nella loro inadeguata partecipazione allo sviluppo, ma piuttosto nella loro partecipazione forzata e asimmetrica in particolare nel mercato del lavoro, per cui ne hanno sopportato i costi senza poterne godere i benefici.
LA PRIVATIZZAZIONE DELLA TERRA
L’agricoltura di sussistenza portata avanti principalmente dalle donne è considerata una delle cause principali della povertà in paesi come l’India
Un’altra caratteristica dello sviluppo promosso dell’occidente che ha aggravato la condizione delle donne indiane sono i processi di espropriazione: la privatizzazione della terra, che doveva contribuire ad un aumento della ricchezza e dunque del benessere, ha invece emarginato principalmente le donne, sottraendo loro i tradizionali diritti di uso della terra.
I progetti di sviluppo si sono appropriati o hanno distrutto la base di risorse naturali fondamentali per la produzione di sussistenza di cui si occupavano soprattutto le donne, allontanandole così dal loro controllo, sulla base di categorie patriarcali che interpretano la rigenerazione della natura e della vita come un’attività passiva, e la distruzione invece come qualcosa di produttivo.
Da qui l’assunto che l’agricoltura di sussistenza portata avanti principalmente dalle donne, con i suoi tempi legati ai cicli naturali (e quindi lenti e improduttivi per il capitale) e la mancata produzione di surplus da vendere per far funzionare l’economia di mercato, sia una delle cause principali della povertà in paesi come l’India.

Vandana Shiva e l'agroecologia
SETTORI DI IMPIEGO
Oggi le donne indiane integrate nel mercato del lavoro sono occupate principalmente nel settore agricolo, manifatturiero e nei servizi. Il settore tra questi in cui è impiegato il maggior numero di donne è quello agricolo, anche se nel settore manifatturiero sono impiegate più donne che uomini. Nell'India rurale, nel settore agricolo e industriale le donne rappresentano l'89,5 percento della forza lavoro; nella produzione agricola complessiva il contributo medio delle donne è stimato dal 55 al 66 percento del totale.[1]
Le condizioni di lavoro delle donne rispetto agli uomini sono nettamente peggiori: esse sono maggiormente impiegate nel settore informale (senza contratti regolari), ed esiste una differenza importante tra i salari maschili e femminili.[2]
IL SETTORE DELL’ABBIGLIAMENTO - due report
Una delle maggiori cause della condizione di subordinazione e oppressione delle donne indiane è lo sfruttamento a cui sono sottoposte nel settore dell'abbigliamento
Lo studio del gennaio 2019 (di cui potete leggere la versione integrale cliccando sul titolo),
“Tainted garments, the exploitaion of women and girls in India’s home-based garment sector” (“Vestiti macchiati, lo sfruttamento di donne e ragazze nel settore dell’abbigliamento indiano”), del ricercatore americano Siddharth Kara del Blum Center for Developing Economies dell’Università di Berkeley, in California, analizza il settore dell’abbigliamento in India e le condizioni di lavoro delle donne che vi sono impiegate. Con questo studio Kara arriva alle conclusioni che una delle maggiori cause della condizione di subordinazione e oppressione delle donne indiane è proprio lo sfruttamento a cui sono sottoposte in questo settore.
Le condizioni di grave sfruttamento a cui sono costrette a lavorare sono paragonabili a un regime di semi-schiavitù
Le donne spesso lavorano in totale assenza di contratti di lavoro, non esistono leggi dello Stato che tutelino le loro condizioni di lavoro, mediamente le lavoratrici vengono pagate meno della metà rispetto ai lavoratori che compiono lo stesso lavoro, e i salari sono quasi sempre esageratamente bassi: la paga media giornaliera per otto ore di lavoro senza contratto, senza diritti e senza garanzie è di 1,12 dollari, un reddito addirittura inferiore a quello per essere considerati in povertà estrema secondo le Nazioni Unite. Difficilmente le donne riescono a guadagnare 15 centesimi all’ora, un salario troppo basso per molti paesi africani, per la Cina, ma anche per molte categorie di lavoratori nella stessa India.

Dallo studio "Tainted Garments"
Le condizioni di grave sfruttamento a cui sono costrette a lavorare, sia per ciò che riguarda gli orari sia le condizioni di lavoro, sono paragonabili a un regime di semi-schiavitù.
È questo sfruttamento a permettere all’industria indiana dell’abbigliamento di essere la seconda più grande produttrice ed esportatrice al mondo dopo la Cina. I principali mercati per le esportazioni indiane di abbigliamento sono gli Stati Uniti e l’Unione europea, che acquistano quasi la metà (il 47 percento) della produzione totale di abbigliamento del paese.
La ricerca mette in luce che sono decine e decine i marchi famosi a servirsi della manodopera indiana, e anche se diverse aziende cercano di mantenere condizioni dignitose nelle fabbriche dei loro fornitori in India, controllare realmente le condizioni di lavoro dei subfornitori è quasi impossibile. Così le donne continuano a vivere quasi schiavizzate, senza nessuna cura medica pagata, nessuno contratto che preveda una futura pensione quando saranno anziane e non potranno più lavorare o alcuna tutela o salvaguardia in caso di infortunio.[3]

La "garment supply chain", dallo studio "Tainted Garments"
Il report del gennaio 2018 (di cui potete leggere la versione integrale cliccando sul titolo) “Labour Without Liberty. Female Migrant Workers in Bangalore’s Garment Industry” (“Lavoro senza libertà. Le lavoratrici migranti nell’industria dell’abbigliamento di Bangalore”), curato dall’organizzazione per i diritti umani India Committee of the Netherlands, che ha sede a Utrecht, la Clean Clothes Campaign e il sindacato femminile di Bangalore Garment Labour Union, analizza le condizioni di lavoro delle donne, perlopiù migranti, impiegate in alcune fabbriche tessili indiane che riforniscono grandi marchi internazionali, come:
· Benetton,
· l’olandese C&A,
· la statunitense GAP,
· la svedese H&M, Levi Strauss,
· l’inglese Marks & Spencer e PVH (che possiede i marchi Calvin Klein e Tommy Hilfiger).

Il settore tessile indiano è una delle industrie più antiche del Paese ed è, dopo quello agricolo, il settore che dà più lavoro.
Nel sud dell’India si trova la corporazione municipale di Bangalore, che rappresenta il polo produttivo più grande a livello nazionale: sono 500.000 i lavoratori occupati in queste fabbriche, e l’80 percento sono donne.

Bangalore nel Sud dell'India, dallo studio "Labour Without Liberty"
Tra queste, secondo i dati forniti dai sindacati, ci sono tra le 15.000 e le 70.000 donne migranti del nord dell’India che vengono preparate al lavoro nelle fabbriche tessili all’interno dei “centri di sviluppo delle abilità” promossi dal primo ministro Narendra Modi allo scopo di creare posti di lavoro e stimolare la crescita economica.

Il primo ministro indiano Narendra Modi
La ricerca prende in considerazione tre fabbriche in particolare, che danno impiego a 4.000 persone, e dove al momento dell’assunzione le donne hanno ricevuto informazioni ingannevoli sui salari e i benefit.
In queste fabbriche la libertà di movimento delle lavoratrici è molto limitata e le loro condizioni di vita sono precarie.
“L’Organizzazione internazionale del lavoro ha individuato 11 indicatori del lavoro forzato, […] cinque di questi indicatori esistono nell’industria tessile di Bangalore.”[4]
Più del 60% delle intervistate ha subito violente intimidazioni o minacce sul posto di lavoro, mentre una su sette violenze sessuali

Gli alloggi delle lavoratrici all'interno delle fabbriche, dove spesso sono costrette a lavorare 7 giorni su 7 senza poter uscire, dallo studio "Labour Without Liberty"
Le lavoratrici di Bangalore:
sono tutte classificate come non specializzate, indipendentemente dalle loro capacità;
normalmente lavorano per una paga appena corrispondente al salario minimo legale o addirittura inferiore;
gli straordinari, che spesso sono costrette a fare, non sono adeguatamente retribuiti;
1/3 delle lavoratrici intervistate nello studio guadagna meno del salario minimo previsto per lavoratori non specializzati;
le molestie e le violenze da parte di supervisori e manager sono molto comuni: più del 60% delle intervistate ha subito violente intimidazioni o minacce sul posto di lavoro, mentre una su sette violenze sessuali.[5]

Vignetta che illustra la vita di una lavoratrice dell'industria tessile di Bangalore, dallo studio "Labour Without Liberty"
Note:
[1] Cfr. UN Women Headquarters, The Indian labour market, a gender perspective, United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women (UN Women), 2016, p. 44.
[2] Cfr. UN Women Headquarters, The Indian labour market, a gender perspective, United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women (UN Women), 2016, p. 44.
[3] Cfr. KARA S., Tainted garments, the exploitation of women and girls in India’s home-based garment sector, Blum Center for Developing Economies, University of California, Berkeley, 2019.
[4] RAY P. and PEEPERCAMP M., Labour without Liberty - Female Migrant Workers in Bangalore’s Garment Industry, published by the Indian Garment Labour Union of Bangalore, the India Committee of the Netherlands and Clean Clothes Campaign, 2018, p. 38.
[5] Cfr. Ibi., p. 5.
Bibliografia:
FAO, Women in Agriculture, Environment and Rural Production. Fact sheet India, 2003
KARA S., Tainted garments, the exploitation of women and girls in India’s home-based garment sector, Blum Center for Developing Economies, University of California, Berkeley, 2019
RAY P. and PEEPERCAMP M., Labour without Liberty - Female Migrant Workers in Bangalore’s Garment Industry, published by the Indian Garment Labour Union of Bangalore, the India Committee of the Netherlands and Clean Clothes Campaign, 2018
UN Women Headquarters, The indian labour market, a gender perspective, United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women (UN Women), 2016
UNRISD (UN Research Institute for Social Development), Anti-Rape Mobilisations in India, Research Report 2016
SHIVA V., Sopravvivere allo sviluppo, ISEDI Petrini editore, Torino, 1990
Per approfondire:
https://youtu.be/nWuXa1YZ4VQ - Il ruolo delle donne del terzo mondo nella nuova DIL
https://youtu.be/ZrDCGBIexUE - L'integrazione delle donne indiane nello "sviluppo"
https://ecofeministawakening.wixsite.com/blog/post/cos-è-la-divisione-internazionale-del-lavoro
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