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Il ruolo chiave dei consumatori nel sistema neoliberista

  • Immagine del redattore: Marta Regattin
    Marta Regattin
  • 6 ott 2020
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 12 feb 2021

Cosa possiamo fare per mettere in discussione la logica dell’accumulazione

 

I danni che il sistema neoliberista (capitalista e patriarcale) sta arrecando ai sistemi sociali, ambientali e alimentari a livello globale, sono sotto gli occhi di tutti. Aumento della povertà, riduzione della qualità della vita, sfruttamento dei paesi del Sud del mondo, di lavoratrici e lavoratori, riscaldamento globale, estinzioni di massa, pandemie, aumento del divario tra ricchi e poveri, mercificazione della vita e delle risorse naturali, continue crisi economiche e finanziarie e guerre sono tutti elementi riconducibili ad una sola logica: la logica del profitto, di dominio e sfruttamento di ogni risorsa, la logica dell’accumulazione di capitale e dunque di ricchezza a discapito di tutto, a discapito di ogni forma di vita ed equilibrio preesistente a questa logica.


Prendere coscienza e comprendere come questi eventi sono legati tra loro è il primo e il più importante passo per diventare degli attori consapevoli e trovare un modo di opporsi ad un sistema ingiusto che mette in discussione i fondamenti della vita stessa. Il secondo passo è cercare di usare le conoscenze e la consapevolezza per ridurre i danni e la sofferenza che il sistema arreca quotidianamente al pianeta e ai suoi abitanti. Ho aperto il blog per diventare un’attrice attiva del cambiamento, per spingere sempre più persone a fare il primo passo. Con questo articolo comincerò a parlarvi del secondo. Cominciamo ad agire!


Vi propongo qui, attingendo dai miei precedenti articoli (in particolare Neoliberismo: origini, affermazione e diffusione nel mondo del 17 aprile e Breve introduzione alle conseguenze del neoliberismo del 27 aprile), un breve riassunto su caratteristiche e conseguenze del neoliberismo. Sapete già tutto? Li avete già letti? Saltate pure il riassunto in blu e andate direttamente alla seconda parte dell’articolo!


Cos’è il neoliberismo? Un riassunto (più breve possibile!)

La dottrina neoliberista si afferma come dottrina economica intorno agli anni Settanta, ma le prime teorizzazioni in questa direzione risalgono al periodo tra le due guerre mondiali. Oggi questa teoria si è diffusa in gran parte del globo e ha smesso da tempo di essere solo una teoria economica: i principi su cui si basa permeano ogni aspetto della nostra vita, il funzionamento dei sistemi istituzionali e le regole con cui viene portato avanti lo sviluppo socioeconomico nei paesi del Sud del mondo.

In quasi tutti gli Stati, a partire dagli anni Settanta, si assiste ad una svolta graduale verso il neoliberismo nelle pratiche e nelle teorie di politica economica: la deregolamentazione, la privatizzazione e il ritiro dello Stato da molte aree di intervento sociale diventano politiche sempre più diffuse. Dalla metà degli anni Ottanta, in concomitanza con uno spostamento a destra dell’opinione politica, l’economia neoliberista riesce a prevalere sul precedente discorso di sviluppo keynesiano e social-democratico.

Margaret Thatcher e Ronald Reagan


Secondo i teorici neoliberisti le politiche neoliberiste avrebbero dovuto produrre un’economia che cresce rapidamente, orientata al mercato e guidata dal profitto: questo sistema avrebbe dovuto generare posti di lavoro e tasse sufficienti a risolvere qualsiasi problema sociale o ambientale. Ormai è evidente che siamo di fronte ad un progetto politico il cui scopo era inizialmente quello di ristabilire le condizioni necessarie all’accumulazione di capitale e ripristinare il potere delle élite economiche, oggi è quello di mantenerlo.

L’affermazione del neoliberismo a partire dagli anni Ottanta ha portato cambiamenti significativi nell’ambito della divisione del lavoro, delle relazioni sociali, del welfare, delle tecnologie, degli stili di vita e delle attività riproduttive. La neoliberizzazione ha distrutto strutture e poteri istituzionali preesistenti al punto da minacciare le forme di sovranità statale (si è creata un’economia globale del tutto diversa e totalmente integrata) e non è riuscita a stimolare la crescita globale, mentre l’occupazione informale è cresciuta vertiginosamente (il "settore informale" è la parte dell'economia non regolamentata da norme legali o contrattuali). Infine, quasi tutti gli indicatori globali che riguardano i livelli di salute, le aspettative di vita e la mortalità infantile dagli anni Sessanta ad oggi mostrano regressi e non miglioramenti, ma la caratteristica più preoccupante del processo di neoliberizzazione, e quella che forse ha le conseguenze peggiori sulla vita delle persone, è la tendenza del sistema a considerare tutto come una merce. Presupponendo che il mercato operi come una guida giusta per tutte la azioni umane, sono stati ampliati i limiti della mercificazione attribuendo diritti di proprietà e prezzi a processi e relazioni sociali, ad ogni genere di risorsa naturale, alla manodopera e al denaro stesso, che non sono propriamente delle merci, senza tenere conto delle realtà complesse che ci sono dietro e producendo dunque un danno enorme.

Un'industria tessile in India


Il neoliberismo ha trasformato il modo in cui si posizionano la forza lavoro, le donne e i gruppi indigeni nell’ordine sociale, considerando il lavoro una materia prima come qualsiasi altra ed ha portato avanti un attacco contro il mondo del lavoro, smantellando il potere dei sindacati e di altre istituzioni della classe lavoratrice e creando mercati del lavoro flessibili: in pratica ha creato una “manodopera usa e getta” priva di ogni tutela e minacciata da ogni genere di trasferimenti geografici. La significativa riduzione del welfare e i cambiamenti indotti dalla tecnologia nelle strutture del lavoro hanno completato il dominio del capitale sul lavoro all’interno del mercato.


Il ruolo dei consumatori nei paesi ricchi

Abitanti dei paesi “ricchi”, occidentali, del Nord del mondo: il primo passo per opporsi e mettere in discussione il vostro ruolo nel sistema neoliberista sfruttante è partire dall’area dei consumi.

Il sistema neoliberista (capitalista e patriarcale) è un sistema globale: il mondo contemporaneo è interconnesso e interdipendente, fatto di relazioni e scambi a livello mondiale. Questo significa che ognuno, all’interno del sistema, ha un ruolo fondamentale, ma non tutti sono nelle condizioni di metterlo in discussione. Noi abitanti dei paesi ricchi, in molti casi, possiamo farlo: Maria Mies scrive in Patriarchy and accumulation on a world scale: “il capitalismo non può funzionare se non è in grado di creare ed espandere il mercato per la sua sempre crescente quantità di beni materiali e non materiali”. Noi siamo una parte di quel mercato, un mercato che si basa sulla crescente domanda di beni e servizi. Agire sulla domanda significa mettere in crisi l’offerta, un’azione che nel lungo termine costringe il marcato ad adattarsi, un adattamento che potrebbe portare a cambiamenti positivi, ad esempio una riorganizzazione della produzione in termini di minor sfruttamento delle risorse umane e naturali. Tutte cose poco prevedibili e di cui è difficile discutere, ma non per questo impossibili.

Dunque, il mercato di cui parla Mies per funzionare ha bisogno di consumatori:

  • i cittadini dei paesi ricchi che hanno il potere d’acquisto (grazie alla sfruttante divisione internazionale e sessuale del lavoro, aggiunge Mies);

  • la classe media urbana nei paesi in via di sviluppo (in misura minore);

  • gli Stati e i loro monopoli su vaste aree dell’economia.

Non possiamo influenzare l’intero sistema di mercato ma sfruttare il nostro potere come consumatori a partire dalle scelte individuali: possiamo scegliere cosa comprare e cosa non comprare, una decisione non totalmente predeterminata dai nostri bisogni e da quello che è offerto sul mercato.


Possiamo evitare di comprare:

  • beni di lusso, superflui, dannosi;

  • beni prodotti sfruttando il lavoro sottopagato e semi-schiavile dei lavoratori e delle lavoratrici nelle free-trade zones dei paesi del Sud del mondo (ricordando però che in misura minore condizioni di lavoro di questo tipo esistono anche in Europa) – un esempio di beni prodotti in queste zone di libero scambio sono i tessili e i capi di abbigliamento della cosiddetta fast fashion (trovate delle storie in evidenza a riguardo sulla mia pagina IG sotto “FashionRev”);

Slogan del movimento "Fashion Revolution"

  • beni la cui produzione implica l’iper-sfruttamento e la distruzione di risorse naturali, gravi danni ambientali, test su animali;

  • beni prodotti e distribuiti dalle grandi multinazionali che controllano la maggior parte della produzione dello specifico settore in cui operano (ad esempio nel settore della vendita al dettaglio, cibo e bevande, petrolio, semi): ambiscono al dominio totale su quel settore ed hanno come unico scopo il continuo aumento del profitto, non certo la salvaguardia della vita, della biodiversità, un trattamento equo per i lavoratori, etc.

Scrive Vandana Shiva, riferendosi al sistema alimentare: “l’avidità di profitti delle grandi corporation impedisce il passaggio a un sistema alimentare sano, sostenibile e democratico. [...] Come cittadini, l’avidità delle corporation ci riduce a meri consumatori, e noi restiamo nell’ignoranza quanto al modo al luogo e alla mano che produce il nostro cibo, nonché sul suo effettivo contenuto.” (SHIVA V., Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli Editore, Padova, 2015, p. 19)

"L'idea secondo cui il libero scambio sarebbe fondato sulla concorrenza è una leggenda. Ha invece portato alla formazione di monopoli" (SHIVA V., cit., p. 27), con poche grandi multinazionali che controllano interi settori del mercato.


Come riconoscere questi beni?

Il sistema di produzione capitalista con la quasi totale divisione tra produttori e consumatori nella divisione del lavoro internazionale, mistifica quasi completamente le relazioni sfruttanti incorporate nei beni. È necessario dunque ricostruire la strada che i beni percorrono per essere prodotti e condividere i risultati per diffondere la consapevolezza dell’impatto reale sociale ed ambientale che ha un determinato prodotto per arrivare fino ai consumatori. È più facile conoscere i modi di produzione e l’etica di un’azienda se si tratta di beni prodotti localmente: comprare questi beni significa anche accorciare la distanza tra produttori e consumatori e dunque ristabilire un legame tra questi, dare più potere alle piccole produzioni artigianali e alimentari, contribuire a diversificare l’offerta con una domanda più varia e dunque arginare il potere dei monopoli e delle catene di produzione globali.



Vi cito nuovamente Vandana Shiva, che pur parlando di un aspetto specifico della globalizzazione neoliberista – la crisi alimentare – fa il punto della situazione in modo molto efficace:

la globalizzazione ha prodotto sradicamento, disoccupazione, fame e insicurezza alimentare a un livello senza precedenti. Mentre a parole si elogiano il ‘libero mercato’ e la concorrenza, la globalizzazione delle multinazionali comporta un commercio iniquo e tutt’altro che libero. […] Tutti gli aspetti della crisi alimentare – insostenibilità, ingiustizia, disoccupazione, fame e malattie – sono legati al sistema alimentare industriale e globalizzato e potrebbero essere affrontati con il ricorso all’agricoltura ecologica e ai sistemi alimentari locali. Per alimentare la sostenibilità, il nutrimento e la democrazia alimentare, dobbiamo pensare in piccolo, non in grande, privilegiando il livello locale rispetto a quello globale.” (SHIVA V., cit., pp 127-129)

Il discorso di Shiva non vale solo per il sistema alimentare, ma per ogni settore del mercato globale e globalizzato: il “commercio iniquo e tutt’altro che libero”, i danni della globalizzazione (in un mio articolo, Parliamo di globalizzazione neoliberista del 14 aprile, potete trovare una spiegazione dettagliata di cosa sia la globalizzazione neoliberista – qui Shiva usa questo termine – globalizzazione – che noi possiamo considerare in questo contesto un sinonimo di neoliberismo) e infine il fatto di “pensare in piccolo”, privilegiare il livello locale rispetto a quello locale. Quest’ultima è la forma di resistenza più efficace che possiamo mettere in atto oggi individualmente e quotidianamente: scegliere cosa comprare e cosa non comprare, riflettere su i nostri reali bisogni, privilegiare i beni prodotti localmente, da piccole aziende, che siano tessili, alimentari, cosmetici, etc.

Cominciamo a mettere in discussione le nostre scelte, e finiremo col mettere in discussione l’intero sistema.

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE


HARVEY D., Breve storia del neoliberismo, Gruppo editoriale il Saggiatore S.p.A., Milano, 2007

MIES M., Patriarchy and accumulation on a world scale, Zed Books Ltd, London, 2014

PAYER C., The debt trap, The IMF and the Third World, Monthly Review Press, USA, 1974

PEET R., Unholy trinity, the IMF, World Bank and WTO, Zed Books Ltd, Londra-New York, 2003

SHIVA V., Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio, Feltrinelli Editore, Padova, 2015

VAROUFAKIS Y., È l’economia che cambia il mondo. Quando la disuguaglianza mette a rischio il nostro futuro, BUR Rizzoli, Milano, 2017

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