Neoliberismo: origini, affermazione e diffusione nel mondo
- Marta Regattin
- 17 apr 2020
- Tempo di lettura: 9 min
Aggiornamento: 10 nov 2020
La dottrina neoliberista si afferma come dottrina economica intorno agli anni Settanta, ma le prime teorizzazioni in questa direzione risalgono al periodo tra le due guerre mondiali. Oggi questa teoria si è diffusa in gran parte del globo e ha smesso da tempo di essere solo una teoria economica: i principi su cui si basa permeano ogni aspetto della nostra vita, il funzionamento dei sistemi istituzionali, e le regole con cui viene portato avanti lo sviluppo socioeconomico nei paesi del Sud del mondo. In questo articolo cercherò di spiegare nel modo più comprensibile possibile di cosa si tratta, come si è sviluppato e perché si è affermato come dottrina egemonica in tutto il mondo.
Principi generali
La teoria neoliberista si fonda sull’idea che il libero scambio e il libero mercato costituiscano un’etica in sé capace di fungere da guida di tutte le azioni umane e di sostituire tutte le convinzioni etiche coltivate in precedenza. In base a questo principio il benessere sociale dipenderebbe dunque dalla frequenza e dalla portata delle transazioni commerciali e l’uomo sarebbe in grado di raggiungere il pieno benessere sfruttando al meglio le sue risorse e capacità imprenditoriali. Il ruolo dello Stato è quello di mantenere una struttura istituzionale che agevoli queste attività. Richard Peet, professore emerito di geografia umana ed economista inglese, scrive nel suo volume Unholy trinity, the IMF, World Bank and WTO: “apertamente, con orgoglio e presunzione, il neoliberismo mostra uno zelo ideologicamente e politicamente di destra, derivante dalla ‘difesa della libertà occidentale’ durante la guerra fredda, quando il capitalismo liberale si scontrava con il totalitarismo comunista.” (PEET, 2003)
Il libero scambio e il libero mercato costituiscono un’etica in sé capace di fungere da guida di tutte le azioni umane
Gli sforzi dei primi teorici del neoliberismo erano di far rivivere il liberismo del XIX secolo, i principi classici e neoclassici in ambito economico rinforzati dalle nozioni anarco-capitaliste sviluppate nelle scienze politiche, ovvero l’idea che il libero mercato potesse coordinare tutte le funzioni di una società al posto dello Stato. La teoria che emergeva da questi studi si basava sull’idea che i mercati si auto-regolassero nel lungo periodo e che l’intervento dello Stato fosse deleterio.
Le origini del pensiero neoliberista
La teoria neoliberista inizia a formarsi prima della Seconda guerra mondiale: essa reinterpretava nel nuovo contesto geopolitico i principi del liberismo classico britannico del XIX secolo, criticando invece il liberismo del XX secolo e soprattutto il Keynesismo social-democratico (di cui parlerò meglio nel prossimo paragrafo). In particolare, i neoliberisti si appropriano dell’idea di Adam Smith dell’“interesse personale” come primo motivatore del comportamento economico ed interpretano il pensiero dei liberisti di fine Ottocento solo in termini matematici, dimenticando l’economia etica di John Stuart Mill (filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell'utilitarismo) o Alfred Marshall (uno degli economisti inglesi più influenti del suo tempo, scrisse Principi di economia nel 1890, a lungo rimasto il testo di riferimento per l'economia inglese).
I neoliberisti si appropriano dell’idea di Adam Smith dell’“interesse personale” come primo motivatore del comportamento economico
Il liberismo classico viene rielaborato in una serie di scuole e centri di studi tra cui la Scuola Austriaca di Economia di Vienna all’inizio del XX secolo, la London School of Economics nel 1930, il Centre for Policy Studies e l’Adam Smith Institute, tutti a Londra. La scuola più importante per la definizione e lo sviluppo del pensiero neoliberista è la Chicago School of Political Economy, influente scuola di pensiero fondata da Frank H. Knight, un liberista classico che criticava il liberismo del XX secolo del New Deal e credeva nell’idea dell’individuo creativo, attivo e libero. Il lavoro di Knight è portato avanti da una seconda generazione di liberisti, tra cui Milton Friedman, che come lui sostenevano l’importanza dell’interesse personale e del comportamento competitivo in economia. Le politiche della Scuola di Chicago vengono tradotte da Friedman in un codice apparentemente scientifico di economia monetaria e diffuse in una versione più popolare dai mass-media simpatizzanti, un’industria che come i neoliberisti non amava lo Stato regolatore.
La crisi economica degli anni Settanta apre uno spiraglio per l’affermazione del neoliberismo
Dopo la Seconda guerra mondiale, per impedire il ritorno di una grave crisi economica come quella che negli anni Trenta aveva minacciato il sistema capitalista e nel tentativo di creare un nuovo ordine mondiale più sicuro di quello che aveva preceduto le due guerre mondiali, vengono ristrutturate le forme statali e le relazioni internazionali soprattutto sulla base delle idee dell’economista John Maynard Keynes, che auspicava la piena occupazione, la crescita economica e il benessere dei cittadini, in un sistema in cui lo Stato era libero di supervisionare i meccanismi di mercato fino a sostituirsi ad essi.
John Maynard Keynes auspicava la piena occupazione, la crescita economica e il benessere dei cittadini
Vengono create perciò varie istituzioni, tra cui le Nazioni Unite, la Banca Mondiale (BM) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Questa forma di governo, che David Harvey (professore, geografo, antropologo ed economista inglese) definisce embedded liberalism (un liberismo definito e modellato dalle esigenze sociali, un mercato al servizio della società), in un primo periodo conduce ad una significativa crescita economica nei paesi più sviluppati, ma a partire dalla fine degli anni Sessanta la disoccupazione e l’inflazione cominciano a crescere svelando l’arrivo di una grave crisi dell’accumulazione. In questo contesto di riduzione del benessere sociale i partiti comunisti e socialisti iniziano a guadagnare terreno in buona parte dell’Europa, auspicando un ampliamento delle riforme e degli interventi statali, e anche negli Stati Uniti si assiste ad una mobilitazione delle forze popolari. La crisi rappresentava una minaccia per le élite economiche e le classi dominanti capitaliste, sia nei paesi del Nord che del Sud del mondo: bisognava restaurare il sistema capitalista, e per farlo il neoliberismo doveva imporsi sulle altre forze in campo.
Il primo esperimento di creazione di uno Stato neoliberista
Il primo esperimento di creazione di uno Stato neoliberista si verificò in Cile dopo il golpe di Pinochet, nel 1973: il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Salvador Allende venne organizzato dalle élite economiche nazionali, forse, come ritengono diversi autori tra cui David Harvey, con l’appoggio delle grandi società americane, della CIA, e del segretario di Stato Henry Kissinger.
Per ricostruire l’economia venne convocato un gruppo di economisti noti come i “Chicago Boys” in virtù della loro adesione alle teorie neoliberiste di Milton Friedman
Il golpe represse con la violenza tutti i movimenti sociali e le organizzazioni politiche della sinistra e smantellò qualsiasi forma di organizzazione popolare, mentre per ricostruire l’economia venne convocato un gruppo di economisti noti come i “Chicago Boys” in virtù della loro adesione alle teorie neoliberiste di Milton Friedman, che allora insegnava all’università di Chicago: nel 1975 Pinochet portò quegli economisti al governo. Il primo compito dei Chicago Boys fu quello di negoziare prestiti con il Fondo Monetario Internazionale, il punto di partenza per ristrutturare l’economia, poi revocarono le nazionalizzazioni e privatizzarono i beni pubblici, deregolamentarono lo sfruttamento delle risorse naturali, privatizzarono la previdenza sociale e agevolarono gli investimenti diretti e il libero scambio preferendo una crescita basata sulle esportazioni. La crescita dell’economia cilena però era destinata a durare poco: il sistema crollò nel 1982 con la crisi del debito latino-americano. Così, negli anni successivi le politiche neoliberiste furono applicate in modo molto più pragmatico. “Non era la prima volta che un esperimento condotto in modo brutale alla periferia del mondo diveniva un modello per la messa a punto di politiche da adottare nel centro”, afferma David Harvey (HARVEY, 2007).

I Chicago Boys
Perché il neoliberismo si è affermato come pensiero egemonico
"Perché un modo di pensare diventi dominante è necessario mettere a punto un apparato concettuale in grado di sollecitare le nostre intuizioni e i nostri istinti, i nostri valori e i nostri desideri, oltre che le possibilità intrinseche del mondo sociale in cui viviamo. Una volta rivelatosi idoneo allo scopo, questo apparato concettuale si radica a tal punto nel senso comune da apparire scontato e non essere messo più in discussione"
(HARVEY, 2007).
Il pensiero e i modi di vita promossi dal neoliberismo si sono diffusi e radicati nel senso comune in questo modo. Affinché la rivoluzione neoliberista avesse successo era necessario realizzarla con strumenti democratici: bisognava costruire un ampio consenso politico tra la popolazione, ed è quello che riuscirono a fare con successo Margaret Thatcher e Ronald Reagan dopo il 1979. Diversi fattori hanno contribuito alla costruzione del consenso: in primis influenze ideologiche potenti hanno circolato nelle grandi aziende, nei media e in molte istituzioni, comprese le università, inoltre è stata fondamentale a creare un clima di fiducia l’adesione e il sostegno di molti intellettuali all’ideologia neoliberista, innalzata a garante esclusivo della libertà. Hanno avuto un ruolo decisivo nella diffusione delle idee anche i documentari televisivi e i giornali neoconservatori (in particolare il Wall Street Journal), e infine i grandi business americani, che hanno supportato attivamente la deregolamentazione neoliberista in vari modi. Infine, i movimenti neoliberisti si sono consolidati attraverso la conquista dei partiti politici e del potere dello Stato.
Il neoliberismo è stato imposto con la forza in alcuni paesi come il Cile, ma è la costruzione attiva del consenso ad aver giocato un ruolo primario nella sua affermazione
In questo processo gli appelli alle tradizioni e ai valori culturali hanno avuto una grande rilevanza: i valori centrali adottati dai fondatori del pensiero neoliberista sono la dignità umana e la libertà individuale, che descrivono come minacciati dalle dittature, dal comunismo e dal fascismo, ma anche da certi tipi di intervento statale che prendono il posto delle decisioni collettive, concetti di indubbio fascino per chi considera fondamentale la facoltà di decidere in piena autonomia. Il fulcro del pensiero neoliberista è l’innalzamento della libertà di mercato e di scambio a garante delle libertà individuali, in quanto necessaria e sufficiente per produrre ricchezza e accrescere in generale il livello di benessere della popolazione: il tentativo programmatico di promuovere la causa delle libertà individuali può esercitare ed ha esercitato un forte richiamo sulle masse.
Il neoliberismo è stato imposto con la forza in alcuni paesi come il Cile, ma è la costruzione attiva del consenso ad aver giocato un ruolo primario nella sua affermazione: in molte parti del mondo è stato inteso sempre più come un modo necessario, o addirittura naturale, per regolare l’ordine sociale, poiché gli sconvolgimenti politici del ’68 erano fortemente segnati dal desiderio di maggiori libertà personali e gli Stati interventisti sembravano guidare il mondo in modi oppressivi per l’individuo e socialmente ingiusti.

Margaret Thatcher e Ronald Reagan
La diffusione in tutto il mondo
In quasi tutti gli Stati, a partire dagli anni Settanta, si assiste ad una svolta graduale verso il neoliberismo nelle pratiche e nelle teorie di politica economica: la deregolamentazione, la privatizzazione e il ritiro dello Stato da molte aree di intervento sociale diventano politiche sempre più diffuse. Dalla metà degli anni Ottanta, in concomitanza con uno spostamento a destra dell’opinione politica, l’economia neoliberista riesce a prevalere sul precedente discorso di sviluppo keynesiano e social-democratico. Tra i governi più influenti che adottano spontaneamente le politiche economiche neoliberiste troviamo quelli di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher: nel 1979 Margaret Thatcher viene eletta primo ministro della Gran Bretagna con il mandato di porre un freno al potere dei sindacati e mettere fine alla stagnazione inflazionistica, nel 1980 Ronald Reagan diventa presidente degli Stati Uniti e avvia il paese verso una rivitalizzazione dell’economia liberando la potenzialità della finanza a livello nazionale e mondiale e con una serie di politiche finalizzate a contenere i sindacati, deregolamentare l’industria, l’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse.
Negli anni Ottanta il pensiero neoliberista trova piena applicazione anche nelle politiche delle istituzioni della governance globale (BM ed FMI in particolare), che ancora oggi governano lo sviluppo dell’economia mondiale: le loro politiche, promosse senza riguardo per le circostanze nazionali, la tradizione culturale e di sviluppo economico o la struttura sociale, favoriscono la privatizzazione, la liberalizzazione degli scambi, la riduzione del deficit di budget statale e un’economia orientata all’esportazione, organizzata attraverso mercati e con una regolazione statale minima.

L’indice che i ricercatori dell’FMI hanno elaborato per misurare il tasso di adozione di liberalizzazioni del commercio, deregolamentazioni e riduzioni dell’intervento dello stato in economia in alcuni Stati e nel mondo dai primi anni Sessanta ai primi 2000
Concludendo…
Secondo i teorici neoliberisti le politiche neoliberiste dovrebbero produrre un’economia che cresce rapidamente, orientata al mercato e guidata dal profitto: questo sistema dovrebbe generare posti di lavoro e tasse sufficienti a risolvere qualsiasi problema sociale o ambientale. Ma tutto questo è vero? La politica neoliberista è il meglio che la scienza economica possa offrire? I fatti finora lo hanno dimostrato? O piuttosto questo sistema si è rivelato una ricetta per un disastro globale economico, sociale e ambientale?
Siamo di fronte ad un progetto utopico finalizzato ad una riorganizzazione del capitalismo internazionale, oppure ad un progetto politico per ristabilire le condizioni necessarie all’accumulazione di capitale e ripristinare il potere delle élite economiche?
Vi lascio con questo dato: dopo l’attuazione delle politiche neoliberiste, la percentuale del reddito nazionale percepito dall’1 per cento più ricco della popolazione americana, è cresciuta fino a raggiungere il 15 per cento alla fine del secolo (HARVEY, 2007).

Riflettete su queste domande, nel prossimo articolo proverò a rispondere con il supporto di studi e dati sull’andamento della crescita economica, della distribuzione del reddito, della povertà e del benessere in diverse parti del mondo a partire dagli anni Settanta fino ad oggi.
Domande? Commenti? Scrivetemi qua sotto, mi trovate anche su Instagram, cercate @theecofeministawakening!
Stay tuned!
Fonti bibliografiche:
PEET R., Unholy trinity, the IMF, World Bank and WTO, Zed Books Ltd, Londra-New York, 2003
HARVEY D., Breve storia del neoliberismo, Gruppo editoriale il Saggiatore S.p.A., Milano, 2007
PAYER C., The debt trap, The IMF and the Third World, Monthly Review Press, USA, 1974
VAROUFAKIS Y., È l’economia che cambia il mondo. Quando la disuguaglianza mette a rischio il nostro futuro, BUR Rizzoli, Milano, 2017
Una brilliante analisi e decostruzione delle pretese ad essere "scientifico" dei neoliberisti. Un vero contributo.