Zoonosi e pandemie: siamo i responsabili. È possibile scongiurare crisi epidemiche sempre più gravi?
- Marta Regattin
- 17 nov 2020
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 12 feb 2021
La stretta connessione tra pandemie e tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e della biodiversità
IL COVID-19 ERA PREVEDIBILE, ANZI, PREVISTO
Nel 2008 la rivista Nature pubblica lo studio Global trends in emerging infectious diseases che mette in luce come le zoonosi (malattie infettive che si trasmettono dagli animali all’essere umano), nel corso del XX secolo, si siano manifestate sempre più spesso. Si legge nello studio: “La diffusione delle malattie è in parte il risultato di cambiamenti antropogenici e demografici. È uno dei costi nascosti dello sviluppo economico umano.”[1]

Nel 2012, David Quammen, un giornalista scientifico, scrive il libro Spillover, animal infections and the next human pandemic in cui annuncia il rischio di un’incombente epidemia mondiale. Nel suo libro spiega come la frammentazione degli habitat porti al declino della biodiversità e dunque del numero di specie animali che fungono da naturale serbatoio dei patogeni. Distruggendo questi serbatoi si ha lo spillover, che letteralmente significa “riversamento” e che sta a indicare il salto di specie da un animale a un altro di cui il virus ha maggiore disponibilità: l’uomo.

A febbraio 2018, nel report annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sulle malattie per cui sono prioritari investimenti in ricerca e sviluppo in quanto potenziali cause di emergenze sanitarie globali compare la malattia X, non ancora registrata, ma la cui probabilità di comparsa andava aumentando.
La malattia X avrebbe dovuto avere le seguenti caratteristiche:
si sarebbe trattato un virus trasferito dagli animali all’uomo in una zona del pianeta in cui le interazioni con la fauna selvatica sono frequenti;
inizialmente sarebbe stata confusa con altre malattie, come un’influenza, salvo poi rivelarsi più pericolosa per la salute individuale o per la società;
si sarebbe diffusa rapidamente, sfruttando lo spostamento delle persone e i commerci;
avrebbe messo in crisi i mercati finanziari prima ancora di diventare una pandemia.
Il coronavirus Sars-CoV-2, o Covid-19 risponde alla perfezione all’identikit delineato 2 anni fa dai virologi ed epidemiologi dell’Oms. La diffusione di un virus del genere non solo non era un evento inatteso, come testimoniano il rapporto dell’Oms e gli studi precedenti che risalgono addirittura a 12 anni fa, ma era una conseguenza prevedibile dell’espansione dell’uomo sul pianeta e dello sfruttamento incontrollato delle sue risorse.
PARLIAMO DI ZOONOSI: CHE COSA SONO E PERCHÉ SONO SEMPRE PIÙ FREQUENTI
Le zoonosi sono malattie infettive che si trasmettono dagli animali all’essere umano
Le zoonosi non sono una novità e sono strettamente correlate con l’addomesticamento degli animali. Più animali addomestichiamo e più a lungo lo facciamo, più aumenta il numero di malattie infettive che vengono trasmesse dagli animali all’uomo. I bovini, ad esempio, ci hanno trasmesso molti virus: il vaiolo, la rosolia, gli orecchioni, etc.

Fonte: Le Monde [1]
La novità è che le zoonosi, oggi, vengono soprattutto da specie selvatiche: il contatto tra l’uomo e queste specie (ma più spesso tra l’uomo e i patogeni provenienti da queste specie) è sempre più frequente, soprattutto nelle aree dove la biodiversità è maggiore e la presenza umana sempre più forte, come ai tropici. In queste aree la deforestazione è un problema particolarmente grave: negli ultimi 25 anni la superficie forestale per abitante nelle aree tropicali si è quasi dimezzata.

Fonte: Le Monde [1]
L’espansione della presenza e delle attività umane (agricoltura e allevamento) attraverso la deforestazione comporta inevitabilmente una distruzione degli habitat in cui vivono gli animali selvatici e dunque un aumento della densità della popolazione animale (uomo compreso) in quelle aree. Questo favorisce la trasmissione dei patogeni e il contatto tra specie che normalmente non avrebbero avuto occasione di incontrarsi, spesso specie selvatiche e domestiche (specie “intermedie” o “ponte”) che entrano più facilmente in contatto con l’uomo e lo contagiano. Un esempio di questo meccanismo è il caso dell'influenza aviaria, i cui virus prima circolavano negli uccelli selvatici, poi infettavano il pollame domestico e da questi passavano all’uomo.
Perché sono sempre più frequenti?
La Terra non aveva mai visto un cambiamento ecologico devastante come quello avvenuto negli ultimi cento anni: drastiche riduzioni degli ecosistemi naturali e della biodiversità, estinzioni di massa, un drammatico aumento della popolazione mondiale (è passata da 4 a 7 miliardi in 40 anni) e degli animali da allevamento (bestiame e pollame). Soltanto il 30% degli uccelli del pianeta è costituito da specie selvatiche, mentre il restante 70% è pollame da allevamento. Tra i mammiferi, le proporzioni fanno ancora più impressione: il 60% sono animali da allevamento (bovini e suini), il 36% sono umani e il 4% appena mammiferi selvatici. La diffusione dell'agricoltura e delle attività industriali ha lasciato sul pianeta soltanto un sesto dei mammiferi selvaggi originari, cancellato l'80% dei mammiferi marini e il 15% della biomassa ittica[2].
La Terra non aveva mai visto un cambiamento ecologico devastante come quello avvenuto negli ultimi cento anni
"Non c'è un grande mistero sulla causa della pandemia Covid-19 - o di qualsiasi pandemia moderna", ha affermato Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance.
“Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente, conducono al rischio di pandemia. I cambiamenti nell'uso del territorio, l'espansione e l'intensificazione dell'agricoltura e del commercio, la produzione e il consumo non sostenibili stanno sconvolgendo la natura e aumentando il contatto tra fauna selvatica, animali allevati, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie”[3]
Come riporta un articolo su Nature Communications firmato dal gruppo di ricerca di Daszak, la comparsa di zoonosi è tanto più probabile quanto maggiore è l’alterazione antropogenica (ovvero causata dall’uomo) dell’ambiente naturale come:
la deforestazione,
l’espansione di terreni a uso agricolo,
l’intensificazione dell’allevamento, della caccia e del commercio illegale di specie selvatiche.[4]
Mai prima d'ora dunque sono esistite così tante circostanze per i patogeni di passare dagli animali selvatici e domestici alle persone. Il risultato è stato un aumento mondiale delle malattie zoonotiche emergenti, focolai di zoonosi epidemiche e delle zoonosi di origine alimentare a livello globale e una preoccupante persistenza di malattie zoonotiche trascurate nei paesi poveri. Oggi circa il 60% di tutte le malattie infettive negli esseri umani sono zoonotiche, così come il 75% di tutte le malattie infettive emergenti.[5]

Il picco di malattie zoonotiche negli anni Ottanta (Fonte: Le Monde [1])
LE PANDEMIE
Se il disastro ecologico causato dall’uomo è un fattore che favorisce l'insorgere di malattie infettive a rischio epidemico, molte altre attività (sempre umane) contribuiscono alla loro diffusione e all’insorgere delle pandemie.
La globalizzazione e dunque la velocità con cui merci e persone si possono spostare da una parte all’altra del globo (il traffico areo in 40 anni è aumentato 7 volte) insieme a conflitti, carestie (instabilità alimentare) e altre forme di instabilità sociale (oggi una persona su otto vive in una baraccopoli, dove le condizioni igieniche sono molto precarie) sono tutti fattori che contribuiscono ad una diffusione più rapida e globale delle malattie.

FUTURE PANDEMIE
Oggi, secondo alcuni scienziati, esistono più di 320.000 virus sconosciuti che colpiscono i mammiferi. È probabile che il contatto con questi virus provocherà nuove pandemie dalle conseguenze imprevedibili, anche peggiori del Covid-19: in futuro potrebbero affiorare con maggiore frequenza, propagarsi più rapidamente, causare più danni alle economie mondiali e più morti del Covid-19[6].

Aree ad alto rischio di diffusione di zoonosi (in giallo) e aree a basso rischio (in viola) - si nota come le aree vicino ai tropici siano quelle più a rischio
COME RIDURRE IL RISCHIO DI NUOVE CRISI PANDEMICHE SEMPRE PIÙ GRAVI?
Per ridurre il rischio di crisi pandemiche sempre più frequenti e sempre più gravi, è necessaria una concreta azione di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, senz’altro a livello individuale (è necessario che ognuno di noi sia più responsabile rispetto ai consumi, nel momento in cui sceglie cosa comprare e dove, privilegiando sempre la piccola produzione e il commercio locali), ma soprattutto a livello politico, istituzionale e globale.
È necessaria una concreta azione di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, sia a livello individuale che politico
Il 29 ottobre l’IPBES (Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), la massima autorità scientifica su natura e biodiversità, ha pubblicato un rapporto sui nessi tra declino della biodiversità e pandemie.
Il rapporto afferma che il rischio di pandemie può essere notevolmente ridotto:
da un lato contenendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità e distruggono gli ecosistemi (il cui ruolo nella regolazione delle malattie è fondamentale e insostituibile), dunque riducendo lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alto grado di biodiversità;
dall’altro aumentando il livello di conservazione della natura, allargando l’estensione delle aree protette esistenti, creandone delle nuove.
A livello politico bisognerebbe favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, commercio ed espansione dell'agricoltura e dell’allevamento globalizzati che causano e favoriscono la diffusione delle pandemie, anche tassando il consumo di carne, la produzione di bestiame e altre forme di attività ad alto rischio pandemico.
Le politiche ambientali dunque dovrebbero promuovere piani responsabili di sfruttamento dei terreni, ridurre la deforestazione e il contatto con specie animali potenzialmente rischiose, salvaguardando così anche gli ecosistemi, che hanno un ruolo fondamentale nella regolazione delle malattie.

I primi 17 obiettivi per lo "sviluppo sostenibile" dell'ONU, tenuti in considerazione nella One Health Initiative e in altre strategie
Per approfondire
Se siete interessat* alla questione delle strategie istituzionali e globali di contenimento delle pandemie, date un'occhiata alla One Health Initiative, una strategia collettiva condivisa da istituzioni come l'Oms, la Fao (Onu) e l'Organizzazione mondiale della sanità animale.
Riferimenti:
[1] Video di Le Monde, Perchè gli esseri umani sono responsabili delle pandemie, Internazionale, 1 maggio 2020 [2] Intini Elisabetta, Uomini e piante dominano la Terra (ma in modo diverso), Focus, 25 maggio 2018 [3] Ciccarese L., Le pandemie e il declino della biodiversità, Il Bo Live, 5 novembre 2020 [4] Suman F., Punto cieco nella prevenzione delle pandemie: la tutela dell’ambiente, Il Bo Live, 10 marzo 2020 [5] Ciccarese L., Le pandemie e il declino della biodiversità, Il Bo Live, 5 novembre 2020 [6] IPBES (Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) Workshop on Biodiversity and Pandemics Report, 29 ottobre 2020
Fonti bibliografiche:
Bar-On Y. M., Phillips R., and Milo R., The biomass distribution on Earth, Proceedings of the National Academy of Sciences, 13 aprile 2018
Ciccarese L., Le pandemie e il declino della biodiversità, Il Bo Live, 5 novembre 2020
Comunicato stampa IPBES, Sfuggire all'era delle pandemie: Gli esperti avvertono che crisi peggiori potrebbero arrivare - Le opzioni proposte per ridurre il rischio
Intini Elisabetta, Uomini e piante dominano la Terra (ma in modo diverso), Focus, 25 maggio 2018
Suman F., Punto cieco nella prevenzione delle pandemie: la tutela dell’ambiente, Il Bo Live, 10 marzo 2020
Video di Le Monde, Perchè gli esseri umani sono responsabili delle pandemie, Internazionale, 1 maggio 2020
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